Il tumore maligno dell’ovaio (TMO) è ad oggi la più letale tra le neoplasie ginecologiche e si colloca al decimo posto tra tutti i tumori femminili (3%).
In Italia sono circa 50000 le donne che vivono con questo tumore e nel 2020 sono stati diagnosticati circa 5200 nuovi casi. La sopravvivenza a 5 anni dopo tale diagnosi è del 43%.

L’elevata mortalità di questa neoplasia dipende essenzialmente dai seguenti fattori:

  • La sintomatologia è aspecifica e tardiva (i.e. dolori addominali diffusi, gonfiore addominale, disturbi intestinali, mancanza di appetito)
  • Non esistono attualmente strategie di sorveglianza della popolazione efficaci che ne permettano la diagnosi tempestiva in stadi precoci, al contrario di quanto avviene per i tumori di mammella, colon e cervice uterina (screening)

Schematicamente i fattori di rischio correlati allo sviluppo del TO si suddividono in:

  • Endocrini (nulliparità, infertilità, prima gravidanza a >35 anni, menopausa tardiva)
  • Familiari (presenza di casi di T mammario, ovarico o colon)
  • Genetici (mutazione dei geni BRCA 1 e 2 ed altri). Solo le donne appartenenti a famiglie già indagate e giudicate ad alto rischio e/o effettivamente portatrici di mutazioni di tali geni potranno beneficiare di uno screening dedicato e di protocolli di chirurgia profilattica.

Le forme epiteliali di TMO sono le più frequenti (60% dei casi) e colpiscono donne sia in età riproduttiva che post-menopausale, mentre i tumori germinali dell’ovaio costituiscono il 15-20% delle neoplasie ovariche, sono maligni solo nel 5% dei casi e nel 50% dei casi l’esordio è prima dei 20 anni.

Tra i TMO epiteliali le forme più rappresentate sono sierose di alto grado (70%), associate nel 50% dei casi a deficit genetici che alterano i meccanismi di riparazione dei danni al DNA. Queste mutazioni predispongono allo sviluppo di alcune neoplasie (tumori mammari, ovarici, pancreatici e prostatici negli uomini), ma rendono i tumori dell’ovaio più responsivi ad alcuni chemioterapici e ad una classe di farmaci a bersaglio molecolare (PARP inibitori). Grazie a questo importante dato clinico e terapeutico l’effettuazione del fondamentale test genetico (su sangue e/o sul campione tumorale) per la mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 è attualmente offerta a tutte le pazienti con tumore epiteliale non mucinoso e non borderline dell’ovaio al momento della diagnosi.

La maggioranza delle pazienti (75-80%) giunge all’osservazione medica tardivamente e presenta alla diagnosi una malattia in fase avanzata, con disseminazione delle cellule tumorali nell’intero addome e nel torace (stadio FIGO III-IV); solo nel 10% dei casi il TMO coinvolge solo le ovaie (stadio FIGO I) o la pelvi (FIGO II) e questa situazione si riscontra, per lo più in modo fortuito in pazienti asintomatiche, durante la visita ginecologica di routine con ecografia.
Gli strumenti chiave per la diagnosi sono l’ecografia transvaginale ed addominale combinate con il dosaggio ematico dei marcatori CA125 ed HE4 (score Roma), e per la stadiazione la TAC toraco-addomino-pelvica e la laparoscopia diagnostica.

Le pazienti con TMO devono essere attentamente selezionate e valutate in centri di riferimento per la gestione dei tumori ovarici ad elevata esperienza chirurgica.

Per le pazienti con TMO in stadio FIGO I e II la sola chirurgia potrebbe essere considerata curativa nel 70% dei casi, ma frequentemente si associa una chemioterapia post-operatoria dato il rischio comunque significativo di recidiva (25-30%), utilizzando il regime combinato carboplatino/paclitaxel. In alcuni casi selezionati in stadio precoce si possono preservare utero ed ovaio sano perché la paziente possa completare il proprio progetto riproduttivo.
Nel TMO in fase avanzata, stadio FIGO III e IV, la chirurgia rappresenta comunque il trattamento di elezione ed il gold standard è l’asportazione di tutto il tessuto tumorale visibile. Infatti, l’assenza di residuo tumorale postchirurgico è il fattore prognostico più importante, in quanto correlato un aumento della sopravvivenza. Anche in caso di recidive successive alla diagnosi, l’asportazione completa di tutta la malattia visibile determina un prolungamento significativo (oltre 15 mesi) della sopravvivenza.
Il trattamento chirurgico è sempre seguito da un trattamento chemioterapico combinato carboplatino/paclitaxel (detto adiuvante) con l’eventuale aggiunta di farmaci innovativi, per consolidare gli effetti della chirurgia e prevenire le recidive.

Per le pazienti non candidabili a trattamento chirurgico radicale (per l’estensione della malattia o per le condizioni mediche precarie) una valida alternativa terapeutica consiste in un trattamento chemioterapico iniziale (detto neo-adiuvante) con carboplatino/paclitaxel seguito da chirurgia d’intervallo, ove possibile, e dal completamento della chemioterapia per complessivi 6 cicli nel post-operatorio.

Nonostante il miglior trattamento chirurgico e la chemioterapia, purtroppo i due terzi delle pazienti con TMO in stadio avanzato avranno una recidiva entro i primi due anni.
Negli ultimi dieci anni sono stati fatti passi avanti nel trattamento di queste pazienti ed attualmente negli stadi avanzati, sia nella prima linea di trattamento, che nella recidiva di malattia sono disponibili nuovi farmaci specifici detti “a bersaglio molecolare”.
Essi vengono utilizzati in associazione alla chemioterapia e/o nel mantenimento:
– il bevacizumab (anticorpo monoclonale che interferisce con la formazione di vasi sanguigni nel tessuto tumorale)
– i PARP inibitori (inibiscono l’enzima Poly ADP-ribose polymerase)
La combinazione di bevacizumab ed PARPi ha recentemente dimostrato di prolungare la sopravvivenza libera da progressione di malattia ed è stata quindi approvata come trattamento di mantenimento nelle pazienti affette da tumori portatori di deficit dei meccanismi di riparo del DNA o di mutazione dei geni BRCA1 o BRCA2 e che abbiano già risposto positivamente ad una chemioterapia di prima linea
Tale terapia di mantenimento, infatti, sembra ritardare la recidiva di oltre 3 anni e di prolungare la sopravvivenza globale.
Pertanto appare evidente l’importanza fondamentale dell’esecuzione del test BRCA al momento della diagnosi.
Nuovi e numerosi studi clinici sono in atto con varie combinazioni di questi farmaci a bersaglio molecolare ed alcuni di questi hanno dimostrato l’efficacia di alcune di queste combinazioni, che saranno auspicabilmente disponibili in futuro nella pratica clinica.

Fonti: Linee Guida AIOM 2021, I numeri del cancro in Italia 2021, NCCN ovarian cancer guidelines 2021.

(Di Dr Elisa Di Capua, Ginecologa LILT Genova per BuonGiorno Basko – Aprile 2022)